PR LUNGO E VITA BREVE? di Matteo Pistorello, MD - PS di Mestre

 

E’ dal 1948 che gli abitanti di Framingham, storica cittadina del Massachusetts, ci riforniscono di informazioni fondamentali per la lotta al rischio cardiovascolare. Vi consiglio di farvi un giretto nel sito del Framinghan Heart Study per comprendere come quello che oggi consideriamo ovvio è stato nei decenni passati dimostrato per la prima volta su di loro. Un esempio?

 

Fumo, ipertensione e livelli elevati di colesterolo sono fattori di rischio cardiovascolare. Prima di Framingham non si sapeva. Dal 1950 al 2008 sono stati pubblicati 1973 articoli scientifici su riviste mediche peer review riguardanti risultati ottenuti dallo studio di questa popolazione, e non è finita. Sembra infatti che abbiano in serbo moltissimi altri dati. Oggi prendiamo in considerazione i risultati di uno studio osservazionale durato 22 anni su circa 7500 persone, pubblicato recentemente su JAMA da un gruppo di ricercatori del Massachusetts General Hospital, il mitico ospedale dei casi del NEJM.

 

Lo studio prende in considerazione il Blocco atrio-ventricolare (BAV) di I grado, che noi medici d’urgenza non consideriamo nemmeno una patologia, a meno che forse non sia accompagnato da un blocco di branca nel contesto di una sincope o presincope. In realtà, se dobbiamo dire le cose come stanno, il PR lungo (la definizione è > 200 msec, i canonici 5 quadratini dell’ECG) lo trattiamo con un’alzata di spalle.

 

La stragrande maggioranza delle volte, infatti, riscontriamo questo segno elettrocardiografico in assenza di una cardiopatia acuta e gli studi (fino a l’altro ieri disponibili), pur se limitati, sembravano rassicuranti. C’è inoltre da tener presente che la maggioranza di essi erano stati effettuati su giovani, spesso vagotonici. L’elevato stimolo vagale non dura tutta la vita, dicono gli autori, e questo potrebbe essere una delle cause della benignità della prognosi.

 

In realtà, il PR lungo non è una caratteristica puramente giovanile (ove peraltro può indicare una valvulopatia o un difetto del setto atriale). Il BAV di I grado dipende, come è noto, da un ritardo della conduzione attraverso l’atrio, il nodo atrioventricolare e/o il sistema di His/Purkinje. Tolte le cause farmacologiche, negli adulti di solito il problema è il nodo, ma spesso il danno si estende a più di un sito della conduzione. Gli autori si sono, quindi, chiesti se tale rilievo sia predittivo di lesioni più gravi sul sistema elettrico cardiaco.

 

I risultati non sono mancati. Rispetto agli individui con PR normale quelli con BAV di I grado hanno, infatti, un rischio doppio per lo sviluppo di una fibrillazione atriale, triplo per necessità di impianto di pacemaker e un moderato aumento di rischio di mortalità assoluta. Ciò dipende secondo gli autori dal fatto che il blocco potrebbe costituire il primo indicatore dell’invecchiamento dell’organo cardiaco con fenomeni progressivi di fibrosi e calcificazione dello scheletro connettivale miocardio, conducenti al danno strutturale sia muscolare che elettrico.

 

Il blocco stesso inoltre, soprattutto quando maggiore di 230 msec, aggiungerebbe danno al danno perché provoca un’incompleta chiusura della mitrale e un rigurgito diastolico attraverso la valvola.

 

Pertanto, questi risultati indicano che il BAV di I grado non è poi quell’entità così benigna finora creduta. Dovremo cambiare atteggiamento verso i pazienti con questa patologia? In urgenza probabilmente no, anche se sono necessari ulteriori studi per definire che tipo di follow-up essi meritino.

 

 

Matteo Pistorello, Dirigente Medico Pronto Soccorso Ospedale dell'Angelo Mestre (VE) ha commentato: Long-term outcomes in indivisuals with prolonged PR interval or First-Degree atrioventicular block. JAMA 2009; 301:2571-2577

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