UN LATTANTE in STATO EPILETTICO, Incontro con Antonio Urbino, Primario di Pediatria d’urgenza

UN LATTANTE IN STATO EPILETTICO -

 

Oggi incontriamo Antonio Urbino, Primario della Pediatria d’urgenza dell’Ospedale Infantile Regina Margherita dell’ Azienda Ospedaliera OIRM S. Anna di Torino e membro del Direttivo SIMEUP. Innanzitutto grazie del tempo che ci dedica. L’obiettivo del nostro sito è quello di mettere sempre più contributi dedicati alla pediatria d’urgenza per colmare un po’ questo solco che si è creato tra medici degli adulti e medici dei bambini. È bello vedere che anche voi colleghi di altre specialità mostrate questa disponibilità. Volevo partire da un caso clinico reale e prendere questa occasione per porle delle domande.

 

Il caso di cui le voglio parlare è quello di un bimbo di 10 mesi portato in Pronto Soccorso dai genitori che lo hanno trovato nel lettino privo di coscienza, contratto e con difficoltà a respirare. Sono molto spaventati e non riescono a spiegare meglio la cosa. Il neonato è cianotico e mostra una contrazione generalizzata e le mascelle serrate. È evidente che si tratta di un disturbo convulsivo. Lo posizioniamo sulla barella in posizione neutra e si comincia a ventilarlo con un va e vieni.

 

A parte il fatto che non sono sicura che il termine “neonato” sia corretto a questa età, ma era giusto posizionare il paziente in quel modo per eseguire il PBLS? La manovra di apertura delle vie aeree è la stessa dell’adulto? Come dobbiamo posizionare il capo?

 

“No, non si usa il termine neonato.  Nel Pediatric Basic Life Support (PBLS) si distinguono due soggetti: il lattante da 0 a 1 anno e il bambino da 1 anno alla pubertà. Il neonato è il bambino sotto i 5 giorni. Su questa definizione, in realtà, ci sono alcune controversie perché secondo alcuni il limit è sotto il mese. In realtà le linee guida ILCOR parlano di “linee guida neonatali” descrivendo ciò che bisogna fare subito dopo la nascita, in sala parto.La posizione neutra del capo è consigliata nel lattante, quindi fino all'anno. Dopo si consiglia di iperestendere il capo senza esagerare soprattutto nel bambino appena sopra l'anno”.

 

La convulsione vera e propria cessa, ma il bimbo non riprende coscienza. E' febbrile. La temperatura auricolare è 38.7 ° C. Si somministra tachipirina endorettale e si cerca di prendere l'accesso venoso. Riprendono le convulsioni e le difficoltà respiratorie. L'accesso periferico non si trova e si sceglie di fare un tentativo a livello della femorale di destra. Fallisce e quindi l'anestesista opta per la giugulare esterna destra che riesce a posizionare.

 

Quale era la priorità in questa situazione? L’accesso venoso, somministrare benzodiazepine endorettali o controllare la temperatura corporea?

 

“Su questo punto direi che se la convulsione era cessata la priorità assoluta era prendere un accesso venoso. La temperatura era già stata presa e credo che anche dopo la somministrazione dell'antipiretico non ci si possa aspettare un calo rapido. Non ci sono dimostrazioni che la febbre persistente favorisca le recidive. Per lo più le convulsioni febbrili iniziano durante la fase di innalzamento della temperatura. La priorità dell'accesso è dimostrata anche dal fatto che se riprendono le convulsioni diventa più difficile reperire un accesso venoso (come peraltro è successo)”.

 

Ma in presenza di una difficoltà di accesso periferico, quale dei due tentativi era corretto tra femorale e giugulare esterna? Uno è preferibile all'altro? Quando si decide di passare alla intraossea (considerando che in Italia è ancora una eccezione)?

 

“ E' a questo punto che, pur cercando di reperire l'accesso, avrei fatto del diazepam endorettale (dose 0,5 mg/Kg). Si tratta di una terapia molto efficace e con assorbimento quasi sovrapponibile alla somministrazione ev. Se non ho ancora una vena è assolutamente indicata. Vi sono anche delle alternative in assenza di accesso. Ad esempio il midazolam sublinguale, endonasale e anche intramuscolare (0,2 mg/Kg). Per quando riguarda la via intraossea le linee guida dicono che dopo 2-3 tentativi (90 -120 sec.) si può passare all'intraossea. Chiaramente le linee guida vanno applicate con discernimento. Se l'operatore ha esperienza nel reperire una centrale, ad  esempio, può provarci. E poi l'intraossea va consigliata in imminente pericolo di vita. In questo caso c'erano delle alternative terapeutiche e il bambino non era in imminente pericolo di vita. Direi che il comportamento tenuto è stato ottimo ed efficace visto che un accesso alla fine è stato reperito”.

 

Si somministrano gli anticonvulsivi, ma le crisi si ripresentano abbastanza frequentemente.  Dopo le benzodiazepine, cosa possiamo usare se le convulsioni non passano?

 

“Se la crisi prosegue nonostante le benzodiazepine è indicato il fenobarbital (10-20 mg/Kg, velocità di infusione < 100 mg/min) o la fenitoina (20 mg/Kg, velocità di infusione < 50mg/min). In Italia direi che c'è più abitudine ad usare come secondo farmaco il fenobarbital”.

 

Il bambino però era ancora febbrile. Qualcuno chiede che venga portato del ghiaccio per raffreddarlo, ma il pediatra di oppone. Ricordo bene, quando lavoravo in ambulanza diversi anni fa, che mi era stato tramandato il dogma dell’impiego (sciagurato e pericoloso) delle spugnature d’alcol per la febbre nei bambini. Ma, invece, è giusto tentare con il ghiaccio e in generale con metodiche di raffreddamento esterno in un bimbo così piccolo? Può essere dannoso? Non si poteva insistere con il paracetamolo?  Qual'è la dose massima di paracetamolo in MONO somministrazione?

 

“Sui metodi fisici per abbassare la febbre ci sono pareri discordati. A parte l'alcool che ovviamente va evitato, gli altri non fanno male. Se, però, ho un bambino in stato di male con convulsioni che non passano non è la febbre il problema prioritario. Sicuramente non ritarderei altre terapie per risolvere la febbre. La dose del paracetamolo è di 10-15 mg/kg/dose per os, per via endorettale si può arrivare a 20 mg/kg/dose. La dose da non superare è di 100mg/kg nelle 24 ore” 

 

Finalmente la terapia ha la meglio e le convulsioni smettono. Il bambino però non mostra ripresa neurologica. Agli stimoli dolorosi risponde con movimento degli arti superiori come da decerebrazione. Dopo un po’,  finalmente, il suono del suo pianto ci rincuora tutti, ma il bimbo resta comunque soporoso. Poteva essere indicato controllare la glicemia? Quale è il valore di una glicemia capillare in un bimbo così piccolo? Dopo quanto ci dobbiamo aspettare la ripresa del normale livello di coscienza?

 

“La glicemia insieme agli elettroliti Ca e Mg e ,in questo caso, emocromo e indici di flogosi, andrebbero fatti all'inizio, appena disponibile un accesso venoso. I valori sono più o meno simili a quelli dell'adulto.Dopo una crisi prolungata il periodo postcritico in un bambino può essere di parecchi minuti. Teniamo poi presente che lo imbottiamo di benzodiazepine, come minimo. Il fatto che si sia messo a piangere depone per una risoluzione del sopore come spesso si verifica in questi bambini”.

 

Il bambino dopo è stato trasferito in una rianimazione pediatrica. Il giorno dopo abbiamo saputo che stava bene e nei giorni successivi è stato trasferito nel reparto di Pediatria. Grazie delle preziose informazioni

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