IL D-DIMERO. di Emanuele Pivetta, MD, Alberto Goffi, MD e Gian A Cibinel, MD PS di Pinerolo

IL D-DIMERO. di Emanuele Pivetta, MD, Alberto Goffi, MD e Gian A Cibinel, MD PS di Pinerolo

 

 “Doc, faccio due provette azzurre per questo paziente?”

 

Il laboratorio del nostro ospedale vuole due provette con il tappo azzurro per poter dosare, separatamente, PT e aPTT da un lato e DDimero dall’altro. È per questo che, spesso, capita che i nostri infermieri ci pongano questa domanda.

 

Molte volte rispondiamo frettolosamente in maniera affermativa e, così, dosiamo anche il DDimero, ma … non è che le evidenze della letteratura non sono dalla nostra parte?

 

Che cosa è?

 

Il DDimero è un prodotto di degradazione della fibrina crosslinked (formata, cioè,  da diversi monomeri di fibrina connessi da legami covalenti), che si accumula nel sangue dopo che è stato attivato il processo di fibrinolisi. Deve il suo nome alla struttura (è, infatti, composto da 2 monomeri di fibrinogeno legati tra loro).

 

 

 

Citando Sackett (1), dobbiamo porre la domanda: quando è utile prelevare la famigerata seconda provetta azzurra? Quando il DDimero aggiunge qualcosa nel percorso diagnostico del paziente che abbiamo davanti? Può rischiare di confondere le idee invece di chiarirle?

 

Prima della trattazione sull’utilità del DDimero, è necessario chiarire che esistono molteplici metodiche per dosarlo e che solo quelle “ad alta sensibilità” hanno un significato per la gestione dei pazienti. È, perciò, importante conoscere e verificare quale sia la metodica in uso presso il nostro laboratorio. Questo ci consentirà, infatti, di seguire un processo decisionale corretto: le metodiche a bassa sensibilità (<90%), infatti, non dovrebbero essere impiegate dal momento che non danno indicazioni utili per la diagnosi di malattia tromboembolica. Metodiche affidabili sono, ad esempio, l’ELISA quantitativo e ilVIDAS d-dimero(2-4)

 

Impieghi clinici

 

A partire dalla fine degli anni Ottanta, il DDimero è stato sempre più utilizzato per la diagnosi di malattia tromboembolica. Nel tempo, però, il suo dosaggio è stato esteso (spesso empiricamente) a entità nosologiche differenti per le quali, in realtà, non esistono indicazioni specifiche e nelle quali la sua misurazione rischia di fuorviare il clinico.

 

Le ultime linee guida della Società Europea di Cardiologia (ESC) (2, 3) sono molto chiare sulle indicazioni per il dosaggio del DDimero nel sospetto di embolia polmonare (EP):

 

  • Nei pazienti con probabilità clinica elevata (calcolata ad esempio con lo score di Wells o il Revised Geneva Score), il DDimero non ha motivo di essere richiesto
  • Nei pazienti con probabilità bassa-intermedia, invece, il dosaggio del DDimero  può escludere (non confermare) la possibilità di embolia polmonare (2, 3)

 

 

Ciò è dovuto alle caratteristiche del test. Il dosaggio del DDimero, infatti, ha una elevata sensibilità e una bassa specificità e, di conseguenza, il test sarà in grado di escludere la diagnosi supposta (perché avrà pochi falsi negativi). D’altra parte, questo viene “pagato” a scapito di un elevato numero di falsi positivi, legati al fatto che il DDimero può essere presente a livello plasmatico per molte cause diverse dalla embolia polmonare: traumi, infezioni, flogosi, neoplasie, gravidanza, età avanzate.

 

Recentemente, Thachil e collaboratori hanno valutato gli impieghi del DDimero in contesti differenti da quello dell’embolia polmonare (es. l’esclusione della dissecazione aortica). Gran parte di questi studi sono a bassa numerosità, e attualmente non esistono altri contesti in cui il dosaggio del DDimero sia validato. (5)

 

Impiego in Pronto Soccorso

 

Quanti dosaggi del DDimero richiediamo in un turno in PS? Probabilmente molti di più di quelli necessari. In uno studio, Jones e collaboratori hanno stimato che il DDimero viene dosato in quasi un quarto dei casi di pronto soccorso non traumatologici! (6)

 

In realtà quale dovrebbe essere l’approccio?

 

Diversi lavori hanno preso in considerazione il dosaggio del DDimero nel sospetto di malattia tromboembolica venosa e, pressoché tutti, concludono che il primo passo deve sempre essere la determinazione della probabilità pre-test di malattia (calcolata, ad esempio, con lo score di Wells, a 2 o a 3 livelli, o con il Geneva score modificato).  I passi successivi, sostengono Jones e collaboratori, dovrebbero poi essere guidati dal risultato del test di laboratorio. (6)

 

Nel 2003, Wells e coautori avevano dimostrato come l’uso del DDimero combinato con una valutazione ecografica degli arti inferiori volta alla ricerca di segni di trombosi, poteva essere utile per escludere, con ragionevole certezza, la diagnosi di malattia tromboembolica nei pazienti ambulatoriali (limitando, così, la necessità di ulteriori indagini diagnostiche).(7)

 

Corwin e collaboratori, in un lavoro del maggio del 2009, hanno poi sottolineato come (nonostante in tal senso le ultime linee guida ESC siano chiare) nei Dipartimenti di Emergenza (sempre affollati) spesso non vengano applicati gli stranoti algoritmi diagnostici. Non tutti i pazienti con DDimero positivo, ad esempio, vengono sottoposti a valutazione con TC torace (in tale studio, il 42% dei pazienti con test di laboratorio positivo non ha effettuato la valutazione strumentale). Va tuttavia sottolineato, a difesa di tali colleghi “sbadati”, che gli stessi Autori rilevano come di questo 42% una buona percentuale di pazienti non prosegua nell’iter diagnostico per l’EP perché c’è, in ciascun singolo caso, una diagnosi alternativa più plausibile. (8)

 

 

L’importanza della determinazione della probabilità clinica è sottolineata anche da Gibson e coll, che evidenziano il pericolo di una determinazione “a tappeto” del DDimero nei pazienti del DEA. Il rischio che si corre è quello di essere influenzati dal risultato del test e decidere, inconsciamente, esclusivamente in base a questo che la probabilità di trombosi venosa profonda sia bassa. Nei pazienti con alta probabilità pre-test di malattia il DDimero non andrebbe neanche dosato; in caso contrario, paradossalmente i risultati andrebbero ignorati procedendo comunque nell’iter diagnostico (9).

 

Embolia polmonare

 

Concludendo, rammentiamo brevemente cosa ci dicono le Linee Guida (LG) dell’ESC (2, 3) sull’embolia polmonare.

Innanzitutto, prima ancora di pensare agli esami di laboratorio e alla diagnostica strumentale, bisogna valutare il rischio di mortalità, stratificando i pazienti in “a rischio elevato” e “non elevato”.

 

Ciò va fatto rapidamente ed esclusivamente con la ricerca di markers clinici: shock e ipotensione. Questi, se presenti, sono associati a mortalità a breve termine elevata, maggiore del 15%.

 

Parallelamente, come già ampiamente discusso, è necessario sempre calcolare la probabilità clinica pre-test (operazione definita come “fondamentale” negli algoritmi diagnostici). In tal senso, banalmente anche il semplice giudizio empirico pre-test potrebbe avere un peso (nonostante la sua maggiore limitazione sia la mancanza di possibilità di trasmissione e di standardizzazione). Per tale motivo le LG considerano più accurato utilizzare gli score validati, come quello di Wells o il Geneva modificato.

 

Determinati rischio di mortalità e probabilità pre-test, si dovrebbero seguire i due specifici algoritmi:

 

 

Nota metodologica: I Likelihood Ratios

 

In ultimo, una nota metodologica. Nella pratica comune, l’accuratezza del DDimero viene considerata sempre in relazione a specificità e sensibilità del test. Per definizione, queste misure non sono correlate alla popolazione in cui vengono calcolate (ossia alla prevalenza della malattia nella popolazione specifica in considerazione), mentre il valore predittivo positivo e negativo dipendono dalla prevalenza di malattia nella popolazione in studio.

 

I rapporti di verosimiglianza (LR o likelihood ratios) con test positivo (LR+) e con test negativo (LR-) dipendono solo dalle caratteristiche del test e sono indipendenti dalla prevalenza di malattia.

 

L’LR+ è il rapporto tra probabilità di test positivo in presenza di patologia e probabilità di test positivo in assenza di patologia. L’LR- è il rapporto tra probabilità di test negativo in presenza di patologia e probabilità di test negativo in assenza di patologia.

        

LR + = sensibilità/(1-specificità)

LR - = (1-sensibilità)/specificità

 

I rapporti di verosimiglianza (LR) possono avere un valore compreso tra 0 e infinito. Quando il valore è inferiore a 1, la probabilità di patologia diminuisce. Se, invece, è maggiore di 1, la probabilità di patologia aumenta.

 

Un risultato positivo di un test con LR > 10 tende a confermare la patologia (con probabilità pre-test intermedia), mentre un risultato negativo di un test con LR < 0.1 tende ad escludere la patologia (sempre con probabilità pre-test intermedia).

 

 

I rapporti di verosimiglianza non variano in differenti settings (come ad esempio tra un adulto sano e una donna in gravidanza fisiologica, in cui sensibilità e specificità vanno interpretati in maniera differente) e possono, quindi, essere utilizzati in qualunque paziente per valutare la probabilità di patologia. Hanno tuttavia i limiti di una minore maneggevolezza e intuitività rispetto ai parametri tradizionali (sensibilità e specificità) e, per ora, un ridotto utilizzo nella pratica clinica (10-12).

 

Disponendo di una stima della probabilità pre-test di patologia (che corrisponde alla prevalenza di patologia nella popolazione e che, nel caso dell’EP, è fornito dalla uno degli score citati) è possibile calcolare la probabilità post-test conoscendo il rapporto di verosimiglianza e impiegando un nomogramma.

 

Esempio: paziente con score di Wells basso (probabilità pretest pari al 3%); LR+ per il d-dimero = 1,63 (sensibilità 98%, specificità 40%); probabilità post-test 4.5% (ottenuta su nomogramma).

 

Bibliografia

  1. Sackett D, Haynes R, Tugwell P. Epidemiologia clinica. Scienza di base per la medicina. Torino: Centro Scientifico; 2002.
  2. Guidelines on the diagnosis and management of acute pulmonary embolism. European Heart Journal. 2008;29:2776-315.
  3. Linee guida per la diagnosi e il trattamento dell'embolia polmonare acuta. Giornale italiano di cardiologia. 2009;10(5):303-47.
  4. Stein P, Hull R, Patel K, Olson R, Ghali W, Brant R, et al. D-Dimer for the exclusion of acute venous thrombosis and pulmonary embolism. Annals of internal medicine. 2004;140:589-602.
  5. Thachil J, Ftzmaurice D, Toh C. Appropriate use of d-dimer in hospital patients. The american journal of medicine. 2010;123(1):17-9.
  6. Jones P, Elangbam B, Williams N. Inappropriate use and interpretation of D-dimer testing in the emergency department: an unexpected adverse effect of meeting the "4-h target". Emergency medicine journal. 2010;27:43-7.
  7. Wells P, Anderson D, Rodger M, Forgie M, Kearon C, Dreyer J, et al. Evaluation of D-dimer in the diagnosis of suspected deep vein thrombosis. New England Journal of Medicine. 2003;349(13):1227-35.
  8. Corwin M, Donohoo J, Patridge R, Egglin T, Mayo-Smith W. Do emergency physicians use serum D-dimer effectively to determine the need for CT when evaluating patients for pulmonary embolism? Review of 5,344 consecutive patients. American Journal of Roentgenology. 2009;192:1319-23.
  9. Gibson N, Sohne M, Gerdes V, Nijkeuter M, Buller H. The importanse of clinical probability assessment in interpreting a normal d-dimer in patients with suspected pulmonary embolism. Chest. 2008;134(4):789-93.
  10. Attia J. Moving beyond sensitivity and specificity- using likelihood ratios to help interpret diagnostic tests. Australian Prescriber. 2003;26(5):111-3.
  11. Chu K, Brown A. Likelihood ratios increase diagnostic certainty in pulmunary embolism. Emergency medicine australasia. 2005;17:322-9.
  12. Cibinel G. Applicabilità e riproducibilità dell'esame clinico. Decidere in Medicina. 2004;4(3):43-6.

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